Asclepio
21-29
[21]
…
E dovrei ancora dire
quale forza inevitabile possiede questo mistero, se ciascuno non lo sapesse da
sé guardando nell'intimo dei suoi sentimenti. Se infatti poni attenzione a quel
momento finale, in cui, in seguito a uno sfregamento ripetuto, giungiamo a far
sì che l'una e l'altra natura mescolino la propria semenza, sì che l'una
avidamente rapisce l'altra per rinchiuderla nell'intimo di se stessa, in questo
momento dunque, tu vedi che dall'unione la donna acquista il vigore dell'uomo e
l'uomo si distende in un languore femminile.
Così l'atto di questo
mistero tanto dolce e tanto necessario si compié nascostamente, perché la
divinità, che si manifesta nelle due nature in seguito all'unione dei sessi,
non sia costretta ad arrossire a causa della derisione degli ignoranti,
soprattutto se si espone agli occhi di uomini empi.
[22] Infatti gli
uomini pii non sono numerosi e anzi direi assai pochi, sì che si possono
contare quelli che esistono in tutto il mondo. Ora se la malizia persiste in
molti, ciò è perché manca a questi la saggezza e la conoscenza di tutte le
cose. Infatti il disprezzo di tutti i vizi che corrompono il mondo intero, e il
desiderio di apportarvi dei rimedi, nasce dalla comprensione dell’ordine divino
in base a cui l'universo è costituito.
Ma fino a che dura
l'ignoranza, tutti i vizi vivono pieni di vigore, e, lacerando l'anima con
peccati insanabili, fanno sì che l'anima stessa, una volta infetta e corrotta
da questi, sia come gonfia di veleno, fatta eccezione per coloro che hanno
trovato il supremo rimedio nella scienza e nella conoscenza.
Se dunque a questi
soli uomini, e pochi in verità, gioverà questo discorso, vale la pena di
continuare la nostra discussione e di spiegare che la divinità ha reso degni i
soli uomini di partecipare alla scienza e alla conoscenza che la concernono.
Ascolta dunque:
quando Dio, padre e signore, dopo gli dèi, ebbe creato gli uomini, combinando
in essi in parti uguali l'elemento corruttibile della materia e l'elemento
divino, avvenne che i vizi inerenti alla materia, mescolatisi ai corpi, vi
rimanessero insieme ad altri connessi col cibo e col nutrimento, al quale noi
siamo costretti unitamente a tutti gli esseri viventi. In seguito a tali cose
necessariamente avvenne che negli animi umani si insediassero le brame
dell’avidità e gli altri vizi che sono propri dell'anima umana. Quanto agli
dèi, che sono stati formati della parte più pura della natura e senza alcun
bisogno dell'aiuto della ragione e della scienza sebbene l'immortalità e il
vigore di un’eterna giovinezza siano per loro come la scienza e la conoscenza.
Tuttavia, per
salvaguardare l'unità dell'ordine, al posto della scienza e della conoscenza
Dio ha istituito per essi, con una legge eterna, un ordine determinato dalla
necessità, mentre contemporaneamente ha distinto l'uomo fra tutti gli altri
esseri viventi in base al privilegio della ragione e della scienza, grazie alle
quali può evitare e respingere i vizi inerenti al corpo, e al tempo stesso ha
suscitato In lui la speranza dell'immortalità e il desiderio di tendere a essa.
In conclusione, perché l'uomo fosse buono e potesse divenire immortale, Dio lo
formò di due nature, la divina e la mortale, e così la volontà divina stabilì
che l'uomo fosse superiore agli dèi, i quali sono formati della sola natura
immortale, e migliore di tutti i mortali. Perciò mentre l'uomo, unito agli dèi
da un legame di parentela, li adora con religiosa venerazione e con la pietà
dell'anima, gli dèi a loro volta vegliano dall' alto con un tenero amore su
tutte le vicende umane, prendendole sotto la loro cura.
[23] Ma questo mio
discorso si riferisce solo a quei rari uomini dotati di un'anima pia. Di coloro
che sono nel vizio non si deve dir niente, affinché la sublime santità di
questo discorso non sia violata. E poiché ora il discorso avrà come tema la
parentela e la comunanza tra gli uomini e gli dèi, rivolgi la tua conoscenza, o
Asclepio, alla forza e al potere degli uomini. Come il signore supremo e il
padre, o per dargli il suo nome più alto, Dio, è il creatore degli dèi celesti,
così l'uomo è l'autore e l'artefice degli dèi che sono nei templi e che vivono
lieti tra gli umani. L'uomo, dunque non solo è illuminato, ma illumina, non
solo SI avvicina a Dio ma anche crea divinità. Sei preso da ammirazione, o
Asclepio, oppure hai poca fede, come accade ai più?».
«Sono confuso, o
Trismegisto, ma assentendo volentieri alle tue parole, giudico l'uomo
infinitamente felice, poiché ha ottenuto una sorte così fausta».
«Né a torto è degno
di essere ammirato con stupefazione colui che è superiore a tutti gli altri
esseri.
E opinione universale
che il genere degli dèi abbia avuto origine dalla parte più pura della natura e
che le immagini visibili di essi siano, per così dire, le loro teste, e non il
corpo intero. Le immagini degli dèi, invece, foggiate dall'uomo, sono formate
di ambedue le nature, quella divina, che è più pura e molto più santa, e quella
accessibile agli uomini, cioè la sostanza, con cui sono state fabbricate; e non
sono raffigurate in forma di testa solamente, ma con l'intero corpo e tutte le
membra. Così l'umanità, sempre memore della natura e dell’origine propria,
nell'imitazione della divinità giunge a tal punto che, come il padre e signore
creò gli dèi eterni affinché fossero simili a lui, così essa foggia i propri
dèi a somiglianza di se stessa».
[24] «Ti riferisci
alle statue, o Trismegisto?».
«Sì, alle statue, o
Asclepio, vedi fino a qual punto manchi di fede? Vi sono delle statue che
possiedono un'anima, una coscienza, che sono piene di soffio vitale, che fanno
cose grandiose e stupefacenti, statue che prevedono l'avvenire e lo predicono
mediante le sorti, mediante l'ispirazione profetica, i sogni, e in molti altri
modi ancora. Vi sono statue che inviano agli uomini le malattie e le
guarigioni, che concedono, in base ai nostri meriti, il dolore e la gioia.
Forse ignori, o
Asclepio, che l'Egitto è l'immagine del cielo o, per parlare più esattamente,
il luogo dove si trasferiscono e discendono tutte le operazioni delle forze che
governano e agiscono nel cielo? E se dobbiamo parlare in modo più veritiero, la
nostra terra si può definire come il tempio del mondo intero. E tuttavia,
poiché si conviene ai saggi di conoscere tutte le cose prima che avvengano, non
è possibile ignorare ciò che sto per dire.
Verrà un tempo in cui
sembrerà che gli Egiziani abbiano onorato invano i loro dèi con la devozione
del loro cuore e un culto assiduo; tutta la loro pia venerazione si rivelerà
inefficace e vana. Gli dèi, infatti, lasceranno la terra e risaliranno verso il
cielo, l'Egitto sarà abbandonato e la terra che fu sede dei riti, spogliata dei
suoi dèi, sarà privata della loro presenza. E gli stranieri che popoleranno
questo paese, non solo non avranno più cura della religione, ma, e ciò è ancor
più triste, si avrà l'imposizione, mediante leggi e con la prescrizione di
pene, di astenersi da ogni pratica religiosa, da ogni atto di pietà o di culto
verso gli dèi.
Allora questa terra
santissima, sede dei santuari e dei templi, sarà piena di sepolcri e di morti.
O Egitto, Egitto, dei tuoi culti non resteranno che leggende, le quali saranno
considerate incredibili persino dai tuoi posteri, e rimarranno solo parole
incise sulle pietre, a narrare le tue pie azioni. Abiterà l'Egitto lo Scita e
l'Indo, o qualche altro popolo barbaro. Infatti non appena la divinità risalirà
in cielo, gli uomini, abbandonati, moriranno, e così l'Egitto, privato degli
dèi e degli uomini, sarà deserto. A te mi rivolgo, o fiume santissimo, a te
preannuncio il futuro: la tua acqua, divenuta un impetuoso torrente di sangue,
si riverserà fuori degli argini, e le tue on-de divine non solo saranno state
insozzate dal sangue, ma a causa di esso eromperanno fuori del loro letto e il
numero dei morti sarà maggiore di quello dei vivi; chi sopravvivrà sarà
riconosciuto per egiziano dalla sua sola lingua, perché dal suo modo d'agire
egli sembrerà di un'altra stirpe.
[25] Perché piangi, o
Asclepio? L'Egitto si lascerà trascinare a cose molto peggiori di queste e si
macchierà di delitti più gravi, proprio l'Egitto, un tempo terra santa, piena
d'amore per gli dèi, unica loro sede per il sol merito della propria devozione,
maestra di santità e di pietà, proprio l'Egitto sarà l'esempio della peggiore
crudeltà.
Allora gli uomini,
annoiati della vita, non considereranno più il mondo degno di ammirazione e di
adorazione. Un tale mondo, che è pieno di bontà, e del quale nulla di migliore
vi è mai stato, vi è, e potrà mai esservi, sarà in pericolo e diverrà un peso
per gli uomini, e per questo sarà disprezzato e non si amerà più quest'opera
inimitabile di Dio, costruzione gloriosa, ricolma di bontà, composta di
un'infinita diversità di forme, strumento della volontà di Dio, che
generosamente assiste e protegge la sua creazione, dove si riunisce in un
medesimo complesso, in un'armoniosa diversità, tutto ciò che, degno di
riverenza, di lode e di amore, si offre allo sguardo. Le tenebre infatti
saranno preferite alla luce, si giudicherà più vantaggiosa la morte della vita,
nessuno leverà più i suoi occhi verso il cielo; e l'uomo pio sarà considerato
folle, l'uomo empio saggio, il pazzo furioso prode, il peggiore sarà
considerato buono.
L'anima e tutte le
credenze ad essa relative, che la dicono immortale per natura o in procinto di
divenire tale, secondo ciò che vi ho esposto, saranno oggetto di riso, verranno
considerate vanità. E sarà decretato, voi dovete credermi, che colui che si
sarà dedicato alla religione sia messo a morte. Si stabiliranno nuovi diritti,
una nuova legge; niente di santo, niente di pio, niente che sia degno del cielo
e degli dèi che l'abitano sarà ascoltato o creduto. E avverrà l'infausta
separazione degli dèi dagli uomini, rimarranno solo gli angeli malvagi, che,
mescolandosi agli uomini, indurranno con la violenza quei miseri a tutti gli
eccessi dell'audacia volta al male, li spingeranno a fare guerre, rapine,
frodi, e a tutto ciò che è contrario alla natura dell'anima umana.
La terra perderà
allora la sua stabilità, il mare non sarà più navigabile, né il cielo sarà più
solcato dalle orbite degli astri, né gli astri potranno continuare la loro
corsa attraverso gli spazi; ogni voce divina, costretta al silenzio, tacerà; i
frutti della terra marciranno e la terra non sarà più fertile, l'aria stessa
diventerà inerte in una funesta immobilità. [26] In tal modo dunque invecchierà
il mondo: si avrà l'empietà, il disordine, la confusione di tutti i beni.
Quando
queste cose saranno accadute, o Asclepio, allora quel signore e padre, e Dio,
che è primo in potenza rispetto a tutti, e il creatore del dio che è primo
rispetto agli esseri creati, considerando questi costumi e queste malvagie
azioni, tentando con la sua volontà, che è bontà divina, di opporsi ai vizi e
al progressivo corrompersi di tutte le cose, volendo purificare il mondo dal
male, annienterà ogni malizia o cancellandola con il diluvio,
o consumandola con il
fuoco, o distruggendola con malattie pestilenziali sparse ovunque, e ricondurrà
il mondo al suo primitivo aspetto, in modo che appaia nuovamente degno di
essere adorato e ammirato, e che Dio, creatore e restauratore di una sì grande
opera, sia glorificato con frequenti inni di lode e di benedizione dagli uomini
che allora vivranno. Questa sarà la rinascita del mondo: un rinnovamento di
tutte le cose buone e una restaurazione santissima e solenne della natura
stessa, necessariamente realizzata nel corso del tempo dalla volontà divina, la
quale è eterna, senza inizio né fine. Infatti la volontà di Dio non ha avuto
inizio, permane sempre immutabile, e come è al presente, tale sarà in eterno.
La volontà di Dio è la sua stessa essenza».
«La somma bontà è
dunque il proposito divino, o Trismegisto?».
«La volontà, o
Asclepio, nasce dal proposito e l'atto del volere dalla volontà stessa. Infatti
non a caso vuole qualcosa chi possiede tutto e dunque vuole ciò che ha. Egli
vuole tutto ciò che è buono e tutto ciò che vuole lo possiede. Tutto ciò che si
propone e che vuole è dunque buono. Tale è Dio; e il mondo è la sua immagine,
opera di un Dio buono e dunque buono esso stesso».
[27] «Buono, o
Trismegisto?».
«Sì, buono, o
Asclepio, come mi accingo a dimostrarti. Infatti come Dio dispensa e
distribuisce i suoi beni, ossia l'intelletto, l'anima, la vita, a tutte le
specie e a tutti i generi che sono nel mondo, così il mondo offre e dispensa
tutte le cose che ai mortali sembrano buone, ossia il succedersi delle nascite
nel loro tempo, la formazione, la crescita e la maturazione dei frutti della
terra e altre cose simili a queste. Così dunque Dio, avendo la sua sede nel
punto più alto del sommo cielo, si trova ovunque, e volge il suo sguardo
intorno su tutte le cose. (Vi è infatti al di là dello stesso cielo un luogo
privo di stelle, che non ha alcun legame con le cose materiali.)
Colui che ha la
funzione di dispensare la vita, che noi chiamiamo Giove (Zeus), occupa la zona
intermedia fra cielo e terra. Mentre la terra e il mare sono dominati da Giove
Plutonio, che ha la funzione di nutrire tutti gli esseri viventi e quelli che
producono frutti. E dunque per merito del potere di questi dèi che i frutti, le
piante e la terra hanno vita. Ma vi sono altri dèi ancora, il cui potere e la
cui attività si distribuiscono attraverso tutto ciò che esiste.
Gli dèi, il cui
dominio si esercita sulla terra, saranno un giorno ospitati in una città al
limite estremo dell'Egitto, una città che sarà fondata nella parte dove il sole
tramonta, e dove affluirà per terra e per mare tutto il genere dei mortali».
«Ma dimmi, intanto,
dove si trovano in questo momento questi dèi, o Trismegisto?».
«Hanno la loro sede
in una città immensa, su un monte della Libia. Questo basti per quanto riguarda
tale argomento. Dobbiamo adesso trattare dell'immortale e del mortale, poiché
l'attesa e il timore della morte tormenta molti, che non conoscono la vera
dottrina. La morte infatti è il risultato della dissoluzione del corpo fiaccato
dalla fatica, dopo che si è compiuto il numero di anni che gli fu assegnato, e
durante il quale le sue membra sono connesse fra loro in modo da formare un
unico organismo in grado di esplicare le funzioni della vita. Infatti il corpo
muore quando non può più reggere il peso della vita umana. Questa è la morte:
il dissolversi del corpo e lo sparire della sua sensibilità; e di ciò è I vano
curarsi. E invece necessario preoccuparsi di un'altra cosa, che talvolta
l'ignoranza o l'incredulità umana trascurano».
«Cos' è dunque, o
Trismegisto, ciò che gli uomini ignorano o che non ritengono possibile?».
[28] «Ascolta dunque,
o Asclepio. Una volta avvenuta la separazione dell'anima dal corpo, il giudizio
e l'esame dei suoi meriti sarà affidato al dèmone supremo, e se costui avrà
giudicato che essa è stata pia e giusta, le permetterà di stabilirsi nelle sedi
che le si addicono; se invece l'avrà trovata deturpata dalle macchie del
peccato e insozzata dai vizi, la precipiterà verso il basso, abbandonandola
alle tempeste e ai turbini, dove sono incessantemente in lotta l'aria, il fuoco
e l'acqua, perché, con castighi eterni, essa sia continuamente trascinata e
travolta in direzioni contrarie fra cielo e terra dai flutti della materia.
Così è l'eternità
stessa dell'anima a nuocerle, in quanto essa si vede condannata da un giudizio
eterno a un supplizio eterno. Sappi dunque che dobbiamo temere proprio questo,
e di questo dobbiamo tremare, e da questo dobbiamo guardarci, ossia dal cader
preda di una simile sorte: infatti gli increduli, dopo aver peccato, saranno
costretti a credere, non da parole, ma da fatti, non da minacce, ma dalla
sofferenza stessa della pena».
«Non è dunque la sola
legge umana, o Trismegisto, a punire i peccati degli uomini?».
«Per prima cosa, o
Asclepio, tutto ciò che è legato alla terra è mortale, e tali sono anche gli
esseri viventi, se-condo la condizione propria dei corpi, che cessano di vivere
secondo questa stessa condizione. Tutti gli esseri dunque, come sono soggetti a
pene proporzionali a ciò che hanno meritato in vita e agli errori commessi,
così sono puniti, dopo la morte, con pene tanto più dure quanto più i loro
errori sono stati in vita tenuti nascosti: Infatti la divinità conosce tutte le
nostre azioni, per cui saranno inflitte pene proporzionali alla gravità degli
errori».
[29] «Chi sono quelli
che meritano pene maggiori, o Trismegisto?».
«Sono coloro che,
condannati dalla legge umana, muoiono di morte violenta, sì che sembrano non
aver reso l'anima alla natura, a cui è dovuta, ma aver pagato la pena che si
sono meritati. L'uomo giusto trova invece un soccorso e un sostegno nella
religione e nella più profonda devozione a Dio. Infatti Dio protegge il giusto
da qualsiasi male. Il padre e signore di tutte le cose, colui che, solo, è
tutte le cose, si mostra spontaneamente a tutti, se pur non facendosi conoscere
rispetto allo spazio, né alla qualità, né alla grandezza, ma illuminando l'uomo
con quella conoscenza che è propria dell'intelletto, per cui l'uomo, liberata
la sua anima dalle tenebre dell'errore e percepita la luce della verità, si
unisce alla conoscenza di Dio, per amore della quale si è liberato da quella
parte della sua natura che lo rende mortale, e può quindi nutre la speranza di
una immortalità futura. In ciò consiste la distanza che separa i buoni dai
malvagi.
Chiunque sia dunque
illuminato dalla pietà religiosa, dalla saggezza, dal culto e dalla venerazione
della divinità' chiunque sia penetrato nella vera ragione delle cose quasi con
gli occhi, e sia reso saldo dalla sua fede eccelle fra gli uomini nella stessa
misura in cui il sole supera in luminosità tutti gli altri astri. Del resto è
il sole stesso a illuminarli, non tanto con la potenza della sua luce, quatto
con la sua divinità e la sua santità.
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