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mercoledì 13 settembre 2017

IL DIO DI GERUSALEMME COME POLO DEL DRAGO

Lo sfondo concettuale dell'asse cosmico nella Apocalisse di Giacomo

di Franklin Trammell

(tratto da "Nag Hammadi and Manichaean Studies" VOLUME 71 trad. a cura di Sabato Scala)


Con la scoperta del Codex Tchacos, disponiamo ora di un'altra versione della prima Apocalisse di Giacomo che, a differenza del testo esistente in Nag Hammadi, fa menzione del πόλος ovvero dell'asse cosmico[1]
Il riferimento si colloca durante una discussione tra Giacomo e Gesù riguardo alla numero dei governanti del cosmo e dei settantadue cieli inferiori.
Nel passaggio si legge:
 [Ma] quelli che sono più grandi di essi [i settanttadue cieli inferiori] sono le potenze che sono al di sopra, quelli attraverso su cui si regge l'intero asse (dell'universo). [2]
Questi potenze di governo superiori ai settantadue cieli inferiori, sono i dodici arconti, come riportato chiaramente nella versione di Nag Hammadi:
"Essi [i settantadue] sono stati stabiliti da loro [i dodici], e sono stati divisi in ogni posto, esistente sotto l'autorità dei dodici arconti. "[3]
Secondo questo nuovo passaggio sui poli che si trova nel Codice Tchacos, l'asse centrale intorno al quale ruota la sfera del cosmo è fondato sui dodici arconti. All'atto dell'ispezione del testo, è evidente che l 'autore della di versione Tchacos di Giacomo utilizza una relazione astrologica tra il poli e le dodici costellazioni dello zodiaco e identifica negativamente i dodici apostoli con i dodici poteri zodiacali. Inoltre, Wolf-Peter Funk ha notato che il riferimento ai settantadue "partner gemellari" in Giacomo sono  connessi ai settanta (due) " discepoli minori" che vengono inviati in Luca 10: 1[4]  In questo modo i settantadue rappresentano un'estensione dei dodici.[5]
Questa corrispondenza, in Giacomo tuttavia, fa parte di una struttura più grande sottostante. Implicitamente in questa struttura vi è l'equazione che il "Dio che dimora" a Gerusalemme equivale a “un drago o un serpente” i cui poteri sono costitutivi del cosmo. Questo drago è stato crocifisso ai poli da Gesù e i suoi arconti sono trattenuti attraverso l'afflizione dei figli di luce.

I numeri dodici, sette e settantadue

Che l'autore della versione Tchacos della Prima Apocalisse di Giacomo possa associare i dodici arconti con la creazione dell'asse è dovuto alla sua ipotesi che il polo dell'universo sia al centro del cerchio zodiacale. L'autore, seguendo l'immaginazione popolare, non distingue tra il polo eclittico, la cui posizione al centro della ruota zodiacale e il polo equatoriale, che é il punto in cui l'asse cosmico interseca la sfera celeste.[6]
 Le dodici "Potenze maggiori" dei poli nella prima Apocalisse di Giacomo sono, di conseguenza, i dodici segni dello zodiaco. È si arriva al numero settantadue in Giacomo moltiplicando questi dodici arconti per i sei cieli inferiori.
Ciascuno dei dodici è indicato come contenente la totalità delle sei sfere inferiori ed é "sopra la sua ebdomade" come settimo potere. Il poteri combinati di ciascuno dei sei-dodici, in totale settantadue dodici, formano i cieli inferiori. Conteggiando i dodici arconti separatamente,  la struttura completa del cosmo è espressa dall'autore di Giacomo come "dodici regni di sette"[7]. Lo schema seguente illustra questa struttura.


Particolarmente rilevante per la comprensione del sistema in Giacomo sono quelle tradizioni che identificano il settimo potere come mediatore e il sovrano sopra gli altri. Yaldabaoth, per esempio, funziona come reggitore della settima potenza secondo alcune fonti "gnostiche"[8]. In altre, la settima potenza é intesa come contenente la potenza totale delle altre sei. Un esempio di questa disposizione è conservato nel testo medievale Sefer ha-Bahir, che contiene un interessante complesso di elementi che presentano una sorprendente somiglianza con la struttura impiegata in Giacomo.
Il Bahir parla di un albero cosmico che si identifica come Tsaddiq, il sabato, e la settima potenza che comprende in sé le sei potenze più basse.[9] Questo albero ha anche dodici aspetti o rami [10]. Il Bahir, inoltre, associa i numeri dodici e settantadue con il nome o i nomi di Dio.[11]
In un passaggio, il numero settantadue viene inteso come derivante dal numero dodici, poiché ognuno dei dodici governanti di Dio o dirigenti ha sei potenze.[12]
Il numero sette è anche prominente e legato all'immagine divina composta da sette sante forme o ipostati derivanti dalla Binah femminile. Questi sette altrove sono raffigurati simbolicamente come sette figli.[13]
Le forme di Dio sono così rappresentate sia da figli che da potenze.[14] Così anche nel Bahir il numero dodici e settantadue corrispondono ai poteri di Dio.
L’albero completo stesso, legato alla settima potenza o allo Sabbath, si dice che abbia dodici aspetti e che sia composto dai poteri di Dio.[15]
In confronto, l 'autore di James sottolinea che la struttura del cielo è costituita da dodici regni di sette.[16]
Si assume in Giacomo che i dodici e settantadue sono i poteri del "Dio che dimora" a Gerusalemme ", dato che è " la figura (τύπος) degli arconti "e che Gerusalemme è un il "luogo di dimora di molti arconti". [17]
Il Dio Ebraico, il dio del settimo giorno, appartiene al settimo cielo, in connessione con il settimo pianeta, Saturno[18]. Gesù dice che "è entrato da " Grande Regolatore Addon” durante la sua discesa nei regni cosmici e conferma la posizione di Dio giusto nel punto più alto dell'universo.[19]
Egli è dunque il primo potere che Gesù incontra all'ingresso il cosmo. Simile alla funzione e alla posizione dello Tsaddiq o del Sabato nel Bahir, il Giusto Dio, che governa l'asse delle potenze, il settimo cielo sotto forma di dodici arconti, comprende la totalità delle sei sfere inferiori in se stesso. I dodici sono fondati sui settantadue e ciascuno dei dodici contiene gli interi dei cieli inferiori, essi funzionano come settimo potere individuale.[20]
I Dodici, quindi, operano come i dodici "sovrani" del Dio di Gerusalemme. Questa struttura spiega come l' Apocalisse di Giacomo possa indicare e collocare questi come i dodici arconti che sono "sopra la loro ebdomade".[21]
Sulla base delle prove all’interno di Giacomo, specialmente alla luce del confronto complesso degli elementi conservati nel Bahir, l’autore di Giacomo identifica gli arconti che stabiliscono l'asse, con i dodici poteri del Dio Ebraico che governa il cosmo dal settimo cielo.
Come per la figura degli arconti si piò dire anche per la loro totalità e per l’estensione, i settantadue dei sei cieli più bassi che sono i "poteri di tutte le loro forze. "[22]

Il Drago e la Figura degli Arconti

La forma esatta della figura degli arconti non è esplicitamente indicata in Giacomo. Tuttavia, da diversi indizi interni sembra che il "dio di Gerusalemme" sia inteso come il drago dello zodiaco posizionato nella sfera più alta del cosmo e al centro dell'universo.
Questo concetto del un drago cosmico ha una base astrologica nella posizione di Drago, una costellazione che ha stelle in tutti i segni del zodiaco e circonda il polo nord eclittico. La parte terminale supplementare nella posizione della coda di Draco rispetto al polo nord equatoriale consente l'antica percezione che un drago polare cosmico abiti in cima alla sfera celeste che governa i dodici dèi del caos, o la concezione dello zodiaco come insieme di segni che appendono dal suo corpo, essendo entrambi sopra di loro e al loro centro. Il drago è pertanto considerato essere, in un certo numero di fonti antiche, il potere ultimo al centro o nel punto più alto dell’Universe.[23]
Altrove, il polo è strettamente associato al drago marino mitologico, il Leviatano Per esempio, in un midrash di Rabbi Eliezer  si menziona questo serpente "tra le cui due pinne si trova il polo centrale della terra ".[24]
Un'altra sorgente midrashica afferma che il" mondo ruota "intorno alla pinna del Leviatano ".[25]
Inoltre, alcune successive fonte ebraiche associano il drago Teli menzionato nel Sefer Yetsira con l'asse dell'universo e con il "serpente polare" menzionato in Isaia 27: 1 e il Giobbe 26: 13,26[26]. Il Teli é descritto, nel Sefer Yetsira, nell’"universo come un re sul suo trono"[27] e  ricorda la costellazione Draco come dimora sulle case dello zodiaco.
Il Teli è costantemente identificato con un altro drago celeste ampiamente conosciuto nell'astronomia e nell'astrologia antica e medievale come causa di eclissi. I nodi lunari - i due punti dove l'eclittica, ovvero il percorso del Sole, interseca l'orbita della Luna - sono specificati come la testa e la coda del drago Teli in un certo numero di sistemi astrologici, compresi quelli dei Manichei e dei Mandei.
Fonti precedenti si riferiscono a questo drago come Athalya e quest'ultima come Talia.[28]
I nodi lunari sono quei punti in cui si verificano le eclissi in modo che questo drago viene immaginato come deglutire il sole e la luna.
Il drago lunare, nella sua forma più precisa, porta i segni zodiacali sul suo corpo, che attraversa un arco di centoottanta gradi nel cielo portando in ogni momento sei segni sulla schiena.[29]
In alcune fonti, la distinzione delle caratteristiche del Drago, rispetto al drago lunare diventano sfocate e i due sono sovrapponibili. Questo è il caso dello Zodiaco Ponza, per esempio, dove un grande serpente è rappresentato all'interno del cerchio zodiacale che attraversa lo stesso arco come il drago lunare ma collocato alla centro dell'universo in un modo che suggerisce anche una conflazione con il Drago.[30]
Questo punto centrale si trova nel mezzo del cerchio zodiacale.
Anche i Mandei identificano esplicitamente il drago lunare (Talia) con il Drago[31].
Come vedremo di seguito, in una tradizione manichea particolare il drago lunare porta il messaggio che si cela dietro la crocifissione di Gesù in Giacomo.
Un altro modalità degno di nota in cui il drago cosmico o il serpente è concepito nell'antichità è, come confine dell'esistenza materiale.
Il serpente di uroboro, per esempio, è legato variamente nelle antiche fonti con la costellazione del drago, la banda dello zodiaco, il dio del polo cosmico o del cosmo stesso, il Leviatano e Iao. Può anche essere inteso come simbolo delle acque primordiali che circondano il mondo o della sfera più esterna del cosmo.[32]
Questa sfera è intimamente legata all'asse del mondo secondo la concezione filosofica dell'anima universale. Secondo questo sistema due cerchi, uno che comprende il mondo e l'altro che é il centro della terra, sono collegati da una  scala.[33]
Questo concetto è presente nello schema Ofitico menzionato da Origene in cui è Leviatano disegnato su un cerchio e al centro. In esso si afferma che Leviatano è l'anima che percorre tutte le cose.[34]
All'interno del più grande cerchio del Leviatano vi sono i sette cerchi degli arconti.
Nella Pistis Sophia, l'oscurità esterna è un grande drago che circonda tutto il mondo e contiene dodici dragoni della punizione che corrispondono alle potenze zodiacali.[35]
Un arconte abita in ciascuna delle dodici camere. Mentre tutte le camere sono all'interno dell’uroboro, e ognuna delle dodici funziona come porta singola al mondo della luce.
Le Anime ascendenti entrano attraverso la coda di questo drago, ma sono intrappolati quando la coda giunge nella sua bocca. Qui il drago è esplicitamente inteso, rispetto al passaggio delle anime, come la barriera che circonda il regno materiale.
In numerose altre fonti "gnostiche", la figura dello zodiaco e le potenze planetarie sono raffigurate combinando immagini solari con l'icona del drago.[36]
Il Sole è spesso inteso come il leader o il regolatore delle potenze planetarie, avendo sette forme perché contiene le potenze dei pianeti all' suo interno[37].
 L’orbita del Sole, il cui simbolo a volte è un utoboro, costituisce la linea nota come eclittica che attraversa la metà della banda zodiacale. Secondo la ricostruzione di A.J. Welburn, Iaoth, il capo dei dodici arconti nel Apocrifo di Giovanni, è governato dal Sole. Il Sole corrisponde a Iao, la cui forma è un drago a sette teste[38].
Qualunque sia il modo in cui essi siano configurati, i dodici arconti insieme sono i poteri di Yaldabaoth,
il cui τύπος è un dragone dalla testa di leone[39].
Questa stessa forma è data al re della Oscurità in alcune fonti manichee e mandee[40].
Un simile l'immagine è associata al dio egiziano Chnoubis, il cui corpo serpentino ha una testa di leone che emana i raggi.[41]
Interessante, un numero di gemme magiche e amuleti che associano Chnoubis con il Dio Ebraico.[42]
In certi contesti astrologici il serpente e il leone potrebbero servire a simboleggiare "aspetti complementari del sole". Il serpente in questo senso funziona come un "simbolo del sole come  grande agente del tempo", mentre il leone rappresenta "il potere del sole".[43]
In un altro senso astrologico la combinazione di leone e drago significano la totalità del potenze planetarie e zodiacali e la "figura" che le comprende.
Importante anche, per questa discussione, è la tradizione "gnostica" della figura redentrice che assume la forma di un serpente per eludere i governati cosmici ei loro arconti. Nella Protennoia Trimorfica, durante
la discesa attraverso il regno degli arconti, la Protennoia li elude assumendo la forma del figlio del creatore principale. Questo figlio è il serpente Nous nel sistema sethiano.[44]
Nella Gnosi Settiana, secondo all'Ippolito, la Parola perfetta della luce suprema, durante la sua discesa
dal pleroma, assume temporaneamente la forma di un serpente.[45]
Questo travestimento consente un passaggio sicuro attraverso i regni al Cosmocratore serpentino.
Questi elementi assai ampiamente diffusi nel pensiero astrologico legati all'idea del drago cosmico o del serpente, dimostrano l'opportunità di attribuire una simile forma alla "figura" degli arconti in Giacomo. Come il τύπος delle potenze zodiacali egli le incarna. Qiesto implicha che esso è nato dalla mancanza femminile di Achamoth, proprio come il drago, il  leoncefalo Yaldabaoth, é nato da Sophia.[46]
Anche se la sua la posizione nel regno  è la più alta del cosmo, egli è anche "Il Dio che abita a Gerusalemme", il centro percepito del mondo.
Inoltre, il Grande Sovrano Addon (aios) ritiene che Gesù é suo figlio quando questi passa attraverso il suo regno, ciò potenzialmente implica che questi abbia presa la forma di un serpente durante la sua discesa.[47]
L'insinuazione in Giacomo che il dio di Gerusalemme è un drago o un serpente diventa ancora più evidente, tuttavia, quando si esamina il destino di questa "figura degli arconti".

Crocifiggere il Drago

In Giacomo si dice che la crocifissione di Gesù è inflitta alla "figura" degli arconti “.[48]
È dunque attraverso la cattura di un figlio della luce da parte delle potenze cosmiche che il loro governanti e la loro immagine sono trafitti. Questa tradizione dei poteri oscuri che consumano la luce e che sono fissi o legati come risultato, è un tema prominente nella tradizione manichea. Alcuni esempi di questo tema all'interno del Manichismo sono particolarmente illuminanti per lo sfondo concettuale di Giacomo.
In uno dei testi manichei, per esempio, l'Athalya (Heb.Teli) il drago che deglutisce il sole, è un'immagine direttamente connessa con la Crocifissione di Gesù. Successivamente segue il trapasso e il confinamento delle potenze.[49]
 Questo tema è espresso altrove nella mitologia manichea dove i cinque figli del Re dell'Oscurità, che somigliano al Leviatano, sono avvelenati quando il Primo Uomo si concede a loro come cibo.[50]
In un testo manicheo, due draghi, che rappresentano i nodi lunari[51], sono appesi e legati insieme ai sette pianeti nel tempo della Creazione.[52]
Nel Kephalaia questi nodi sostituiscono il sole e la luna per completare i sette poteri tradizionali che si dice siano il padre e la madre di tutti i pianeti.[53]
In un altro testo, mostri primordiali che hanno inghiottito elementi di luce restano attaccati alla sfera.[54] Il legame tra l'Athalya che deglutisce il sole e la crocifissione di Gesù 'nel libro salmico manicheo può pertanto essere visto come ricapitolazione del legame primordiale e della crocifissione dei poteri del caos.[55]
Queste fonti riflettono il mondo del pensiero mitologico che viene disegnato dall'autore di Giacomo. La correlazione tra mostri o draghi sconfitti attraverso il sacrificio di un rappresentante divino si esprime in Giacomo con l'idea che la crocifissione di Gesù che ha, di fatto, crocifisso la "figura degli arconti" e crocefisso la 'figura' dei poteri zodiacali, nati dalla carenza di Saggezza, trafitti attraverso il sacrificio di un "figlio di luce", che dimora al centro del mondo e nella sfera più alta del regno cosmico, la cui forma il figlio Gesù prende durante la sua discesa, adattandosi all'immagine di un drago o serpente basata sulle tradizioni parallele sopra indicate.[56]
La menzione di Gesù colui che "quando viene catturato" dagli arconti, "si impadronisce di loro", così come la sofferenza del figlio di Levi trattenuto gli arconti, suggerisce che, oltre alla morte di Gesù, essa rappresenta il ripetersi della cattura e afflizione di vari "figli di luce" che mantengono il potere dei regni cosmici sottomessi.[57]
L'Apocalisse di Giacomo, dunque, è un'espressione della tradizione ritrovata nelle suddette fonti in cui la catturata della luce è necessaria per superare le forze serpentine dell'oscurità. La crocifissione del drago da parte di Gesù può essere considerata come la ricapitolazione del legame primordiale del drago del caos.[58]
In Giacomo questo processo viene ulteriormente ripetuto da altri figli di luce.

L'asse dei dodici segni dello zodiaco

La tradizione del polo del drago crocifisso non è esplicitata completamente dall'autore di Giacomo a causa del suo interesse prominente nell’individuare i dodici poteri zodiacali che stabiliscono l'asse con dodici discepoli. Questa corrispondenza tra gli apostoli e la le potenze zodiacali sono basate sulla struttura sottostante del Dio Ebraico come il drago polare.
La correlazione negativa dell'autore tra gli apostoli e le potenze zodiacali serve ad attaccare i rappresentanti del cristianesimo apostolico associandoli al tipo delle dodici divinità del caos.[59]
In tal modo, l'autore è in grado di identificare i suoi avversari apostolici contemporanei con i poteri di governo che hanno ucciso Gesù e Giacomo.[60]
Questa correlazione serve ad invertire tutte le associazioni positive tra i dodici apostoli e i segni dello zodiaco presente in altre tradizioni cristiane. Nella versione Tchacos di Giacomo, i dodici arconti, sono corrispondenti agli apostoli, attraverso i quali è stabilito l'asse dei poteri che bloccano l'ascensione stabilita per l'anima. L’autore impiega il numero settantadue come designazione degli apostoli e li identifica come subordinati ai  dodici sovrintendenti del serpente, il Dio Ebraico, sovrano del cosmo. Questa dottrina della verticale  corrispondenza che si evince in Giacomo è una componente essenziale della immaginazione astrologica.[61]

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[1] TC 13:6–9
[2] Testo copto: Kasser et al. 2007, 127; mia traduzione.
[3] NHC V, 26:19–23. Testo copto: Parrott 1979, 72; mia traduzione.
[4] L'articolo di Funk in questo volume rileva che il numero varia tra settanta e settantadue nei manoscritti di Luca e nella letteratura patristica.
[5] Il numero settantadue come una designazione per gli apostoli si trova anche nella tradizione siriaca e in alcuni salmi manichei. Su questo vedere Murray 2006, 133, 172 n. 11, 173 n. 1
[6] Vedere Beck 2006, 109; Richer 1994, 63–71; Scholem 1962, 76 n. 47.
[7] NHC V, 26:2–5; TC 12:14–17
[8] Vedere Pearson 2007, 53, 57
[9] Sefer ha Bahir § 71 (Abrams 1994, 161). Vedere Wolfson 1995, 71–72.
[10] Wolfson ha presentato prove sostanziali che suggeriscono che dietro alcuni dei passi Bahir sull’Albero Cosmico vi è una tradizione ebraico-cristiana che ha identificato Gesù come l’Albero Cosmico o l'axis mundi. Su questa e altre tradizioni della settima potenza mediatrice o reggente vedi Wolfson 1995, 63-88 e note corrispondenti. Per  le dodici braccia dell'universo vedere Sefer Yetsira § 47 (Hayman 2004, 149-50).
[11] Sefer ha-Bahir §§ 63, 64, 70, 76, 79, 80, 81, 112, 113 (Abrams 1994, 155–57, 161, 163–69, 197). Vedere anche Urbach 1994, 130–31, e I richiami in 1988a, 123–24. Il nome divino é ovunque identificato con il pilastro del cosmo o asse cormico. Vedere, per esempio, Herm. Sim. IX, 14:5; PGM 1: 196–222; PGM IV:1167–1226; Wolfson 2005, 124–25, 291, cf. 213
[12] Sefer ha-Bahir § 63 (Abrams 1994, 155).
[13] Vedere Wolfson 2005, 147–49.
[14] Idel 1988a, 126.
[15] Idel 1988a, 126.
[16] TC 12:14–17. Sulle dodici ebdomadi in 1 Apoc. Jas., vedere la disquisizione di Wolf-Peter nell’articolo di Funk’s in questo volume.
[17] TC 12: 2-3; 18: 12-17; 23: 16-18. Questi settantadue sono quelli che sono divisi nelle settantadue nazioni del mondo nella tradizione ebraica e cristiana, come notato da Schoe del 1970, 123. Vedi Ginzberg 1925, 194-95 n. 72 e la discussione di Séd 1979, 156-84. Cf. anche Scott 2002, 51-55. In fonti rabbiniche il numero di solito è di settanta. Il Bahir §§ 112-13 (Abrams 1994, 197) collega il numero settanta, settantadue e settantadue come diversi modi di conteggiare la stessa struttura.
[18] Vedi Welburn 1978, 244-45. Yaldabaoth è identificato con il pianeta Saturno secondo Celso. Tacito, Ist. 5, 4 associa il Dio ebraico a questo pianeta. Vedi anche Jackson 1985a, 105-6 n. 86; Cf. Welburn
[19] TC 26:11–14.
[20] Sui dodici come il settimo potere sopra l’ebdomade vedi l'articolo di Wolf-Peter Funk in questo volume. Cf. Wolfson 2005, 157.
[21] NHC V, 25:26–26:1; TC 12:10–12
[22] NHC V, 26: 18-19. La descrizione dei dodici eoni e dei settantadue luminari di Gos. Jud. 49: 1-50: 18 in attesta di un modello pleromicatico di questa struttura, in cui il Padre consta dei dodici eoni. Cf. un libro salmico manicheo (Allberry 1938, 1: 10-15; 9: 13-14; 136: 14; 198: 25-26). .
[23] Vedi Hipp., Rif. IV, 47; MacKenzie 1964, 512; Epifanio, Panarion haer. 26, 10: 8; Mastrocinque 2005, 160-72; Rasimus 2006, 76-77, e la discussione di seguito.
[24] Pirqe de Rabbi Eliezer, § 9 (Luria 1852, 23a–b). Fishbane 2003, 279 n. 18.
[25] Midrash Aseret HaDibrot (Jellinek 1967, 1:63); Vedi anche Midrash Konen (Jellinek 1967, 2, 26). Vedi anche Ginzberg 1925, 45, che prende atto dell'antichità di queste affermazioni in base al passaggio in Apoc. Ab. 21: 4.
[26] Scholem, 1962, 77 n. 48; Sharf 1976, 36. Il nome barazia nei testi di Isaia e di Giobbe indica un bar o palo. Reeves 1995, osserva che Ibn Ezra su Giobbe e Radaq su Isaia collegano il barharo nahash ad una colonna celeste del serpente. Vedi anche Fishbane 2003, 291-92. Per le fonti sul Teli vedi Sharf 1976, 33-51, esp. 40-41.
[27] Sefer Yetsira, § 59 (Hayman 2004, 176): In questo articolo si rimanda a quanto segue. In Sefer Raziel, i dodici segni zodiacali appendono al Leviatano, come notato da Karppe 1901, 157 n. 1.
[28] Il "drago lunare" è attestato in un'ampia varietà di fonti antiche e medievali e talvolta è identificato con Draco e il drago marino Leviatano. Vedi, ad esempio, Beck 2004, 157 ff., Esp. 159 ff., 171, 177-90; Sharf 1976, 38-51; Leisegang 1955, 217; Mackenzie 1964, 512-15, 521-22, 525; Drower 1949, 62 n. 2, 95-96, 111-12, 115-16; Mastrocinque 2005, 162-63; Starr 1939, 56, 157-59; Hartner 2008; Azarpay 1978, 363-74; Powels-Niami 1995, 79-81, 86; Goldstein-Pingree 1977, 121-22; Holden 1988, 75. Cfr. Beaulieu, 1999.
[29] VEdere, per esempio, Beck 2004, 159, 162–63; MacKenzie 1964, 515, 525.
[30] Beck 2004, 152 ff.
[31] Nel sistema dell'astronomo ebraico medievale di Shabbetai Donnolo, le costellazioni, i pianeti, il sole e la luna sono tutti uniti al drago Teli. Secondo questi esso funziona sia come axis mundi che come il drago dell'eclissi. Vedi Sharf 1976, 34f. Nel Bahir, il Teli è identificato come "la somiglianza che è davanti al Santo Beato", le cui "serrature sono appese". Sefer ha Bahir 75 (Abrams 1994, 163). Abrams 1994, 274, cita un testo diverso che aggiunge che il Teli contiene le sfere. 'Cfr. Zohar III, 48b; Wolfson 1988, 81 n. 29, 86 n. 46. ​​Cfr. Idel, 1988b, 77-78.
[32] Sull’roboro, o il serpente circolare che mangia la punta della sua coda, vedi Mastrocinque 2005, 12, 16, 48, 95-96, 148-53, 160-68, 175, cfr. 117-18; Liesegang 1955, 221; Jackson 1985b, 22-23, 39 n. 18, n. 22; Rasimus 2006, 62. Sull'associazione del serpente con le acque che circondano la terra che costituiscono una barriera tra il regno umano e il divino, vedi Mastrocinque 2005, 25-30, 160; Beck 2004, 221-22 n. 42. Vedi anche Jonas 1958, 116-18. Secondo Rashi su Isaia 27: 1, il Leviatano circonda la terra. Vedi Grünbaum, 1877, 275; West 1971, 42 n. 9; Fishbane 2003, 278. Cfr. Epstein 1996, 363; Wakeman, 1973: 19. Sulle acque del caos, come confine tra il regno materiale e il regno celeste, si veda la discussione di Morray-Jones 2002.
[33] Su questa argomentazione filosofica sull'Unità Universale vedi Altmann 1967, 1-32.
[34] Origen, Contra Celsum VI, 25: 12–14 (Marcovich 2001, 402). See Mastrocinque, 2005, 106 n. 480; Rasimus 2006, 60.
[35] PS, III, 126, (Schmidt-Macdermot 1978b, 317 ff. ). Cf. Rasimus 2006, 87.
[36] Sul collegamento tra il serpente e il sole vedi Leisegang 1955, 216-32; Beck 2004, 190-200, 225 n. 72; Rasimus 2006: 87; PGM I. 144-145; PGM IV. 1637- 1640. Nei testi magici e in alcuni ambienti ebraici ellenistici, il Dio ebraico si identifica con il sole o conflato con un dio di sole che regola l’asse. Vedi fonti citate in Mastrocinque 2005, 56, 153 e note corrispondenti; Leisegang 1955, 222-23; Smith 1990, 29-39. Nel testo magico ebraico Sefer ha-Razim 4: 61-63 (Margalioth 1966, 99, cfr 12; Morgan 1983, 71), la divinità solare Helios, come nel PGM 1, 222, è invocata come regolatore dell'asse o polocratore. Cf. Sefer ha-Razim 4: 47-57 (Margalioth 1966, 98-99; Morgan 1983, 70-1); Stuckrad 2000b, 20. Nella Pistis Sophia IV, 136, (Schmidt-Macdermot 1978b, 354), l’uroboro e il disco del Sole sono considerate assimilabili.
[37] Welburn 1978, 246–47
[38] Welburn 1978, 250
[39] Secondo la lunga recensione dell'Apoc. John NHC II 10, 8-9.
[40] Vedi Jackon 1985a, 40-43. Cf. Ps. 91: 11-13; 11Q11 Col. V, 11-13. La tradizione mandea identifica spesso il re dell'oscurità con il Leviatano
[41] Per inciso, la posizione di Chnoubis come decano è legata a Saturno e al numero tredici. Vedi Gundel, 1936, 77, 79; Jackson 1985a, 82, 105-7. Il Sole e il Saturno sono intimamente legati all'antica astronomia/astrologia. Vedi, ad esempio, Brown 2000, 68-70; Koch-Westenholz 1995, 85, 122-25; Jackson 1985, 22; Jackson 1985a, 146-49, 156.
[42] Sull'identificazione di Chnoubis e del Dio ebraico vedi Mastrocinque 2005, 64-9. Su Chnoubis vedi anche Spier 1993, 39-41 e note corrispondenti. Jackson 1985a, 78, osserva che "alcune gemme di Chnoumis semplicemente irradiano serpenti con teste di normali serpenti". Molte gemme magiche associano il Dio Ebraico con un drago. Vedi, ad esempio, Bonner 1950, Plate II, 24, che ha il nome Iao accompagnato dall'immagine di un drago. Un altro esempio importante (Re 1887, 103) descrive un uroboro con il nome Iao, identificato con Abrasax, il cui valore numerico è 365, contenente tutti i poteri del cosmo.
[43] Beck 2004, 196ff, ne enfatizza l’origine. Vedi anche Jackson 1985a, 131–49, esp. 139, 145–46.
[44] Trim. Prot. (NHC XIII,1) 48:25–49:22. Cf. Hipp. Ref. V, 14.
[45] Hipp. Ref. V, 14. Vedere Mastrocinque 2005, 194, 36; Rasimus 2006, 27, 80–81. Cf. Liebes 1993, 16–17.
[46] TC 10:20–24; 21:2–26; 22:1–14.
[47] TC 26:11–19; NHC V, 39
[48] TC 18:8–16
[49] “Salmi ci Heraceides” (Allberry 1938, 196: 1–13). Cf. Jer. 51:34–44.
[50] Vedi Reeves 1992, 192–97, 206 n. 67. Cf. A Manichaean Psalm Book (Allberry 1938, 76: 6–15; 83: 25–28; 201: 25–29.
[51] Boyce 1977, 21; cited in Reeves 1995. See also Beck 2004: 177–79.
[52] Boyce 1975, 60 § 1; tradotto in Klimkeit 1993, 225-26; citata in Reeves 1995. Vedi anche Acta Archelai 8: 1 (Beeson 1906, 11) dove all'epoca della creazione gli arconti sono fissati alla sfera del firmamento. Cf. anche un salmo mandaico  (Ed. Allberry, 201: 11-32). La parola polos può essere usata per indicare questa sfera o la volta del cielo. Vedi anche Keph. 85,26-27; 114; 115,1-34; 122.24; 123,19-21; 136,23-25. Cf. 118,13-120,20. Un testo astrologico manicheo molto frammentario contiene un riferimento al drago cosmico, usando il corrispondente siriaco del Teli ebraico. Vedi Burkitt, 1925, 114, A. col. v 1 linea 1 (fine); citata in Reeves 1995. Vedi le osservazioni di Scholem 1962, 77 n. 48.
[53] Keph. 85.26–27.
[54] Škand-Gumānāk-Vičār 16: 18-19 (Menasce 1945, 253); citato in Reeves 1995. Nel raccogliere ed analizzare alcune di queste fonti manichee e altre di notevole interesse, Reeves rileva un complesso di motivi notevolmente simile, relativo alla triplice gerarchizzazione del cosmo nella tradizione manichea, Sefer Yetsira, la Bahir e la cosmologia di Dayṣānite. In questo sistema tripartito, come espresso nel Sefer Yetsira e nel Bahir, il Teli o il serpente cosmico corrispondono al livello macrocosmico, seguito dalle sfere planetarie o dal regno dei poteri zodiacali, con il livello microcosmico corrispondente al cuore o alla mente. Vorrei ringraziare il Prof. Reeves per aver condiviso con gentilezza questo studio e per aver richiamato il mio.
[55] Un altro esempio importante di questo tema si trova nella tradizione Mandea. In un mito il dio di salvezza Hibil consente di essere divorato da Karkûm, che viene distrutto dal il veleno e viene tagliato a pezzi. Vedi Jonas 1958, 116-22. Cf. anche Eliade 1959, 33.
[56] Cf. Zohar I: 47a, in cui Leviatano e il suo compagno sono equiparati ai sette principi che governano la terra.
[57] TC 16:20–21; TC 25:9–14
[58] Cf. Giobbe 26:13: "Con il suo spirito, il cielo è diventato giusto. La sua mano ha trafitto il serpente polare ". Sulle diverse versioni del mito primordiale del mostro marino vedi Gunkel 1895; Wakeman 1973. Nella ricapitolazione di questo mito nel giudaismo successivo vedi Fishbane 2003, 282; Liebes 1993, 16-17. La ricapitolazione della conquista primordiale del caos volatile si esprime nella tradizione alchemica di "Abrahamo Eleazar l'ebreo", all'immagine del serpente crocefisso, rappresentato dal gruppo di Mosè. Per l'astrologo auto-proclamato la inchiodatura o il fissaggio del serpente a una croce e le pratiche alchemiche relative allo "spirito dell’Pitone" hanno il potere di sottomettere tutto il mondo. Vedere Patai 1994, 238-57, esp. 246, cfr. 573 n. 17.
[59] Su questa identificazione nel Vangelo di Giuda. e sulle associazioni positive tra i dodici apostoli ei segni zodiacali vedere l'articolo di DeConick in questo volume., 238-57, esp. 246, cfr. 573 n. 17
[60] TC 16:16–18; TC 18:14–15
[61] Vedere DeConick’s article in this volume. 61 TC 16:16–18; TC 18:14–15 62

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